Incipit

Uppercut

E’ grosso al di là di ogni buon senso, grosso ma da paura, anzi da far schifo. Se fa troppo caldo pensa ai supplì. Se piove pensa ai supplì. E mentre mangia i suoi cavoli di supplì, pensa di mangiarne altri subito dopo. E questo in ogni stagione, in ogni santo porco fottutissimo giorno dell’ anno. Il suo desiderio è di non essere mai sazio. Il suo sogno segreto avere un ristorante tutto per sé, con un ‘enorme sala da pranzo e un unico tavolone rotondo al centro. Un ristorante anche pizzeria, con una lista di 365 pizze, esattamente una per ogni santissimo e porcissimo giorno dell’anno, nell’improbabile caso che al ciccione, prima o poi, vengano un po’ a noia i supplì. E poi c’è la donna: una barista mora, né grassa né magra, un tipo nervoso e di poche parole, catapultata sulla terra solo per aprire il fottutissimo bar – neanche suo – alle cinque e trenta del mattino, e questo ogni strafottutissimo giorno dell’anno.
La mora fa le sue vacanze nella settimana dei morti e va a trovare una sorella sposata in un’ altra città. D’estate sta alla vetrina del bar, se non c’è gente, e su uno sgabello americano sfida parole crociate e si ciuccia un frizzantino secco. Da lì il mondo è piccolo, rassicurante, sempre, lo stesso.

(Da Uppercut)